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15 aprile: anche alla Coop si celebra la Giornata mondiale dell'arte
Riscopriamo insieme i tesori nascosti del nostro Paese con Opera tua
Ogni giorno è il giorno giusto per celebrare l’arte di cui il nostro Paese è ricca: i piccoli e grandi tesori che si nascondono nelle grandi città italiane, come nei piccoli centri urbani, rendono l’Italia uno dei Paesi più amati al mondo. Avere il privilegio di vivere le nostre vite di fianco a questi capolavori, vuol dire anche impegnarsi a custodirle e a rendere disponibili per le generazioni future.
Anche per questo il 15 aprile si celebra la Giornata Mondiale dell’arte: per ricordare, in occasione del compleanno di Leonardo da Vinci (che quest’anno avrebbe compiuto 570 anni!), che abbiamo tutti il dovere preservare i tesori del nostro Paese e tramandare ai nostri figli il patrimonio artistico che ci circonda. Noi come Cooperativa crediamo fermamente che sia importante l’azione di chi opera per dare la miccia a quel circolo virtuoso artistico che ha ricadute su territori e comunità locali.
Per questo vi raccontiamo uno dei restauri di Opera tua direttamente dalla voce di Valentina Rimondi, restauratrice che sta ultimando l’intervento sulla “Natura morta (1720 ca.)”, l’opera conservata a Palazzo Farnese - Pinacoteca dei Musei Civici di Piacenza, che ha vinto nella tappa in cui si è votato dal 15 settembre al 14 ottobre 2021.
Valentina Rimondi ha restaurato con Cristina Gasperotti due nature morte dalla straordinaria vitalità del piacentino Felice Boselli: abbiamo cercato con lei di scoprire i segreti di questo mestiere che permette a tutti noi di riscoprire un’opera senza i danni del tempo.
L'Italia è piena di tesori nascosti, a volte poco valorizzati. Sono grandi e piccole opere d’arte un po' dimenticate, che si portano dietro i segni del tempo e che vorremmo restituire in tutto il loro splendore alla comunità. Cosa ne pensa dei privati che investono e credono nel recupero di questi tesori nascosti? Quanto è diventata indispensabile la responsabilità sociale d’impresa applicata per il recupero di beni artistici?
Il primo pensiero mi rimanda a figure quali Lorenzo il Magnifico o Peggy Guggenheim, che in epoche diverse hanno rivestito il ruolo di lungimiranti mecenati. Quella del mecenate è una figura proiettata verso il futuro e verso la bellezza e l’espressività. Personalmente considero quindi i privati che investono nei restauri dei nuovi mecenati, che salvaguardano ciò che di artisticamente prezioso è arrivato fino a noi per perpetuarlo ai posteri, investendo così nel futuro, per non lasciare un Paese senza memoria.
Tutto ciò che è stata produzione di oggetti d’arte (dai grandi manufatti protagonisti dei saggi di storia dell’arte, all’artigianato artistico) ha qualcosa da narrare, perché proveniente da un dato contesto storico e sociale, perché realizzato con la scelta di determinati materiali, perché avente precise destinazioni d’uso per le quali è stato creato. Un’opera, un manufatto, è un documento. E come tale è necessario accompagnarlo con slancio e cura verso l’avvenire. Il connubio cultura e impresa è certamente vincente, dimostra che sta aumentando la consapevolezza per cui investire sul recupero dei beni artistici è investire anche sullo sviluppo di un territorio, generando ricadute sociali ed economiche positive: le prime si originano dalla sensibilizzazione della comunità locale che, raccogliendosi intorno a un dato Bene, potrebbe riscoprirlo come identitario, avvertendo un’esigenza di tutela e valorizzazione, indotte dalla conoscenza e riscoperta di esso. Le seconde riguardano la possibilità dell’incremento dell’incoming turistico, grazie all’aumento della visibilità. Le aziende che investono in questo tipo di azioni benemerite sono certamente coscienti di incentivare l’attivazione di un circolo virtuoso e di poter, al contempo, restituire un’immagine positiva di sé. L’Art Bonus è certamente un esempio di come l’esigenza di questi investimenti sia forte.
Il restauro di Opera tua è stato effettuato su due dipinti della Pinacoteca piacentina: quale preferisce? Appassionarsi ad una opera rende il restauro più efficace?
Le due nature morte sono “opere gemelle”, piuttosto simili come composizione e resa pittorica, difficile dire quale preferisco delle due. Posso però dire, avendo il privilegio di poterle osservare da vicino, quali sono i particolari che ho amato maggiormente, ossia le lumeggiature impiegate per la resa delle squame dei pesci, il piumaggio e la profondità di sguardo del barbagianni, la luminosità della rapa sbucciata - quasi sfacciata nell’accentrare l’attenzione su di sé -, e soprattutto il capo della ghiandaia, con le piume che da vicino si notano essere leggermente scarmigliate e l’occhietto vispo che sembrava fissarmi dal fondo della tela, mentre riportavo alla luce la superficie pittorica parzialmente occultata dalla vernice pigmentata sovrammessa. Appassionarsi a un’opera rende il restauro più efficace? Professionalmente sarei tenuta a rispondere che il restauro è un’operazione condotta soprattutto su base scientifica cui legare anche la ricerca umanistica, però la realtà è che il restauro è fattibile solo con la passione. Per quanto mi riguarda non esisterebbe un restauro ben fatto senza un legame emotivo con l’opera su cui si va ad intervenire.
Nelle nature morte, l’autore, Boselli si divertiva a nascondere la sua firma attraverso i personaggi ritratti. In questi due quadri dove è nascosta la firma dell’autore?
Felice Boselli firmava le proprie opere attraverso la presenza del gatto, in latino felis, in piena assonanza con il proprio nome di battesimo, Felice, in latino Felix. In uno dei due dipinti compare infatti un gatto alle prese con un gambero tra le zampe.
Siamo curiosi: ci può dire come si articola la giornata tipo di una restauratrice?
Questa è una domanda difficile. Io personalmente non mi occupo più esclusivamente di restauro, ma anche di valorizzazione territoriale attraverso gestione museale e organizzazione di eventi culturali e didattica, come socia della cooperativa culturale CoolTour. Amo tutti gli aspetti del mio lavoro, ma le giornate in cui posso tornare a fare la restauratrice dalla mattina alla sera sono per me le più preziose, mi alzo dal letto contenta di chiudermi in laboratorio, immaginando già le operazioni da svolgere sulle opere, costruendo una tabella di marcia mentale e avendo cura di non dimenticare gli occhiali da vista. Non di rado mi è capitato di perdere la cognizione del tempo, in particolare nelle fasi di pulitura che richiedono particolare concentrazione e attenzione. Il lavoro di restauro richiede comunque anche le fasi di sopralluogo, di ricerca, di documentazione fotografica. Può essere un lavoro di squadra, soprattutto nei cantieri, oppure più solitario. È un mestiere vario, e molto difficilmente le giornate si assomigliano tra loro per troppi giorni consecutivi. A volte capita di concludere una fase di lavoro nel pomeriggio ed essere soddisfatti, altre volte ci si addormenta la sera cercando l’ultima ispirazione per la risoluzione di qualche problematica per la mattina successiva.
E per finire, cosa significa essere una donna che lavora al restauro di opere d’arte nel nostro paese?
Significa avere la fortuna di fare il lavoro più bello del mondo. E significa lavorare in un ambiente fortemente femminile. Le mie insegnanti, nei primi anni, sono state tutte donne, dai caratteri molto differenti tra loro, ma che hanno veramente saputo comunicarmi ciascuna a modo suo un metodo di approccio al lavoro di cui ancora faccio tesoro. Per eseguire gli interventi sui dipinti del Boselli ho chiesto la consulenza e la collaborazione di Ocra restauri, ditta di conservazione di opere d’arte con sede a Rovereto (Tn), con cui ho lavorato per diversi anni. Ocra è composta da due socie, Cristina Gasperotti e Barbara Tomasoni, restauratrici preparatissime: il legame umano e professionale creatosi è stato molto forte, nonostante le differenze di età che intercorrevano tra tutte e tre, al punto che è venuto naturale pensare subito a loro per dare seguito all’intervento. Il mondo del restauro è un mondo di donne, e mi piace sottolineare questo aspetto peculiare del settore in cui ho avuto la fortuna di condividere spazi ed esperienze (non solo lavori, ma anche la “battaglia” per il riconoscimento professionale) con donne con una passione in comune.